Ho aspettato qualche settimana per scrivere questo post. Se l’avessi scritto nei primissimi giorni della mia permanenza qui a Lugano avrebbe colato miele, lacrime e nostalgia da ogni riga. Ora, che un pochino di tempo mi ha aiutato a mettere a fuoco la malinconia, posso scrivere una vera dichiarazione d’amore, appassionato e incondizionato, per la pianura. Quando ho scoperto che avrei dovuto trasferirmi in Svizzera per il lavoro di mio marito ero certa che mi sarebbero mancati i miei amici, la mia famiglia e la mia città. Mai avrei pensato di svegliarmi tutte le mattine desiderando che le prealpi si appiattissero, per trasformarsi in campi di granoturco e risaie.
La pianura è ingrata con chi la ama.
Ricambia l’affetto con gelate invernali e caldo afoso in estate. A gennaio e febbraio la vita è dura senza box e sopratutto per chi come me pecca sempre di ottimismo sulla tempistica. Dieci minuti di ritardo, in aggiunta allo standard, sono assicurati quando gela e la macchina va sghiacciata ogni mattina. Se il mezzo di trasporto poi è il treno, per me era la famosa freccia delle risaie ovvero la Milano-Mortara, non si sa se sperare nei riscaldamenti o meno. Perché la scelta è tra i quaranta gradi o il freddo polare per poi passare all’umido dei campi o della città quando si scende. Tosse e raffreddore assicurati fino a primavera.
Quando arriva la bella stagione non fai in tempo ad apprezzare le giornate lunghe e il tepore dei raggi di sole che già la pianura mostra le sue insidie. Le risaie allagate stendono un mantello di zanzare in ogni dove, il sole cocente brucia la testa e la pelle, senza nemmeno un poco di vento ad alleviare il calore. In estate le piscine sono affollate di persone e di zanzare (perché ovviamente c’è l’erba e non la sabbia), il caldo umido ti appiccica i vestiti addosso, il deodorante alza bandiera bianca dopo il caffè del mattino.
Eppure in questo luogo dal clima fantastico in cui mi trovo ora, dove la gente viene in vacanza, io tutti i giorni sogno la mia distesa di campi, che con il loro ritmo di lavoro scandiscono in modo sempre uguale e così rassicurante il passare del tempo. Il momento in cui in assoluto apprezzavo di più la natura della bassa milanese era al mattino quando portavo mio figlio all’asilo e per guadagnare qualche minuto sul ritardo perenne (arriverà un post anche su questo…) facevo con l’auto una scorciatoia in mezzo ai campi. In inverno la brina brilla come tanti piccoli diamanti, tutto è soffice e tutto è avvolto nel torpore, mentre quando la brina cede il posto alla rugiada i colori si fanno più vivaci. In apparenza la pianura è avara di colori, un’infinita ripetizione di marrone, verde e giallo. Ma per l’occhio che ama la generosità si svela nelle sfumature. Così si scoprono giallo ocra, beige, fango, verde smeraldo, verde prato, rossiccio, arancione, giallo paglierino ….un’infinità di gradazioni che solo la vista può comprendere pienamente. La terra rivoltata dall’aratro trova riposo nell’erba e si rinfresca nell’acqua cristallina dei ruscelli. Un sistema preciso, con le sue regole e il suo equilibrio.
Di recente sono tornata a casa, ma il cuore sanguinava talmente tanto che non sono riuscita a fare nemmeno una foto. Le ho quindi chieste in prestito ad un amico che ringrazio, Fabrizio Tassi, che fa delle foto meravigliose della bassa milanese.